Rancore, un giallo di Gianrico Carofiglio

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Mi piace molto la scrittura di Gianrico Carofiglio, ma questo romanzo l’ho veramente divorato durante un giorno di riposo, unico lascito positivo del  Covid. Scrittura asciutta, stile impeccabile e colto ma mai saccente, ecco che Carofiglio inventa Penelope Spada, ex magistrato, etica ferrea, ora investigatrice privata senza licenza la cui storia personale viene svelata contemporaneamente al dipanarsi di una indagine che le viene chiesta dalla figlia di un noto chirurgo morto all’improvviso, apparentemente per infarto, il prof. Vittorio Leonardi. Il professore ha lasciato la maggior parte dei suoi averi alla seconda, giovanissima moglie provocando la reazione della figlia Marina che vuole impugnare il testamento pensando più ad un assassinio, magari per interesse ,visto che il padre aveva manifestato la volontà di cambiarlo. E Penelope Spada si mette a studiare il caso con pazienza e determinazione senza tralasciare nulla anche il più piccolo e insignificante particolare. Nelle indagini vengono raccolte moltissime informazioni, si fanno tanti colloqui, domande apparentemente poco importanti ma alla fine quella massa indistinta prende forma e ci porta a individuare la verità.

L’unica e vera distrazione di Penelope sono gli allenamenti durante le giornaliere uscite ai giardini con l’inseparabile Olivia, un Bull terrier che lei chiama collega. È lì che incontra Alessandro, un maestro elementare colto e gentile che giorno dopo giorno, inaspettatamente, suscita il suo interesse. Ma ci sono anche altri personaggi che le ruotano attorno come l’amico dei servizi, l’ispettore Capone, l’ambiguo dottor Loporto vecchio amico della vittima, a volte appena accennati o invece descritti a tutto tondo come la seconda moglie,  quasi a raccontarci quanto sia varia la condizione umana. Il romanzo ci lascia sospesi fino all’ultima pagina tra le indagini su come è morto il prof. Loporto e il mistero della ragione per cui Penelope ha dovuto, dolorosamente, lasciare la Magistratura. La verità è l’unica cosa in grado di guarire le ferite del passato.

Ha una dimensione etica fortissima che coesiste con un'altrettanto forte propensione a violare le regole. Rimbalza tra estremi e lo ammette chiaramente: voleva fare lo sbirro ma voleva anche l'autonomia del pubblico ministero» (Gianrico Carofiglio)

 

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