Un ricordo antico che cambia nome, ma ne lascia il sapore e la bellezza. In primavera facilmente ci s’imbatte in cascate blu-violetto, lilla o bianche di fiori bellissimi, dal profumo leggero ma inebriante. Questa cascata di fiori l’ho sempre conosciuta col nome di Glicine, ma, approfondendo, scopro che il nome botanico è Wistaria sinensis, floribunda e venusta. La sinensis, che sembra essere quella più diffusa, riconduce all’infanzia, quando, incredibile a dirsi, i fiori si potevano assaggiare direttamente dalla pianta, succhiandone l’interno. Sapore dolce e ignoto che difficilmente oggi si avrebbe il coraggio di recuperare, per come l’incontaminata aria del passato concedeva. Perché il glicine? In fondo i ricordi del passato hanno la forza di spingere verso l’eternità, per quella sensazione di tempo infinito che sembra intercorrere tra il ricordo e il presente. Ricordi utili a recuperare segmenti di vita, che ritornano in evidenza per riconnettersi con le radici lontane dell’esistenza. La semplicità delle esperienze vissute nel passato ridimensiona la complessità del tempo presente, con le sue difficoltà senza apparente soluzione.
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Le scuole riprendono la loro attività negli edifici abbandonati per il Covid19, ma, oltre ai tanti dispositivi di sicurezza che sono usati per la prevenzione del contagio, il distanziamento rende necessario il banco monoposto e di conseguenza scompare il compagno o la compagna di banco. Il ricordo dei tempi della scuola è costellato di persone con le quali si è condiviso un ciclo o addirittura tutti i cicli scolastici con la stessa presenza al proprio fianco. A volte, prima dell’inizio della scuola, si prendevano accordi con i compagni di classe per decidere con chi sedere al banco, oppure si scatenavano gelosie per “tradimenti” che si consumavano durante l’anno. Quando i compagni o le compagne di banco erano assenti, si percepiva un vuoto che produceva disagio, come se mancasse una protezione dalle paure o dalle ansie che il compito in classe o l’interrogazione sollecitavano.
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“Che sensazione di leggera….euforia”, sì euforia e non follia, come, invece, recita la canzone di Mogol e Battisti, è quanto si respira oggi nell’aria, trovandosi in zone dove molta gente si affolla per trascorrere i giorni caldi dell’estate, come le spiagge marine o le zone della movida notturna delle città. Da diversi giorni cercavo di cogliere l’essenza significativa di quanto mi è capitato di osservare nei luoghi deputati al tempo libero, percependo una sorta di elevazione del tono della voce o della marcata manifestazione della ricerca di vicinanza tra le persone, compatibile, più o meno, con il rispetto della distanza, fino ad arrivare a trovarla nell’ euforia. L’euforia è un’emozione umana, che accompagna l’ allegria, ma che può sconfinare nell’esuberanza quando si vivono eventi positivi, per sottolineare la necessità di liberarsi dal controllo oppressivo del rispetto della regola e lasciarsi andare a una sorta di ebbrezza catartica. L’euforia può essere anche un sintomo del disturbo dell’umore, ma non è in questo senso che ne vorrei rintracciare un significato psicologico per questo periodo storico.
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